Il capitalismo è come il banco: vince sempre. Intervista sull’Unità

Home 9 In Evidenza 9 Il capitalismo è come il banco: vince sempre. Intervista sull’Unità

Il capitalismo è come il banco: vince sempre.
Una mia intervista ad Umberto De Giovannangeli pubblicata su l’Unità di oggi.
Buona lettura

👇👇👇

– Massimiliano Smeriglio, scrittore, già europarlamentare, uno degli artefici dell’ottimo risultato di Alleanza Verdi Sinistra alle ultime elezioni europee: con gli ultimi scandali estivi si può dire che il degrado della politica nostrana abbia toccato picchi di miserabilità impressionanti?

Si ma non è la parte peggiore. Anzi la parte peggiore è quella che sta andando in onda in queste ore in cui sollevato dall’incarico il Sangiuliano ministro è scattata la difesa corporativa del Sangiuliano giornalista, con relativa gogna per il soggetto debole di questa storia e cioè la dottoressa Boccia, trasformata da fonte corteggiata da tutti a soggetto inaffidabile in men che non si dica.
Con ammiccamenti, battute e pacche sulle spalle che definire sessiste è poco.
Ovviamente lei finirà in una bolla tra l’oblio e l’isola dei famosi, ma questo è poco rilevante.
Mi sarebbe piaciuto discutere del Sangiuliano ministro, dei suoi risultati, delle criticità, delle discutibili politiche sul cinema, del tentativo sbagliato di nazionalizzare Gramsci. Piuttosto che di una situazione alla Flaiano, “la situazione è grave ma non è seria”. C’è solo un ambito peggiore della pessima politica, quella del pessimo giornalismo corporativo, autoreferenziale, intoccabile.
In ogni caso non so se ci sono rilievi penali, e francamente mi interessano il giusto. Penso sia una storia piuttosto triste, il ministro ha fatto bene a dimettersi per evitare la telenovela. Per il resto stenderei un velo, senza accanimenti inutili. A volte il pudore può essere un buon viatico per attraversare situazioni imbarazzanti per tutti. Il pudore dovrebbe essere la cifra del nostro fare politica restando umani, un anticorpo capace di impedire la canea intorno alla carcassa dei vinti.

– Campo largo: un assillo politico o una forzatura mediatica?

L’unica cosa certa, al momento, è che non esiste alcun campo e grossomodo nessuna voglia di
organizzarlo. Nel migliore dei casi siamo di fronte ad una semplice alleanza elettorale tra diversi. Bene hanno fatto Bonelli e Fratoianni ad organizzare un evento pubblico che sollecitasse questa discussione. Mi pare piuttosto di osservare partiti impegnati in vicende interne. Di equilibri, e perché no, anche di potere. Niente di male per carità, ma se resta solo quello, non è una gran cosa. Se non mettiamo in campo una politica comune delle opposizioni, un processo di partecipazione democratica condiviso per accumulare forza, idee, progetti temo che a logorarci saremo noi, non certo la destra. Bisogna organizzare e dare luoghi da frequentare a quell’eccedenza di voto consapevole che si è espressa alle europee. Dunque l’unica vera cosa da fare ora sarebbe quella di allargare il campo, non solo alle alchimie politiciste, ma alla società, ai conflitti, agli intellettuali, ai corpi intermedi, alle vertenze sindacali. Scegliere delle regole d’ingaggio condivise e salpare alla ricerca del consenso tra le pieghe della società italiana. Prima di combattere il premierato in sé, dovremmo contrastare il premierato che vige in pressoché tutte le forze politiche, comprese quelle progressiste, con nuclei di comando nazionali verticali che non investono in discussioni aperte. Abbiamo vinto due volte dal dopoguerra, in entrambi i casi Prodi e i partiti che lo sostenevano animarono meccanismi partecipativi, la fabbrica del programma 1996 e le primarie nel 2006. Chiudersi non è un sintomo di forza, ma di fragilità. E la sinistra non vive e non vince senza la critica e la partecipazione popolare. La destra può vivere di leadership e di deleghe. Noi no.

– L’estate sta finendo ma le interviste a Matteo Renzi, no. C’è posto anche per lui in questo travagliato campo?

Renzi è un funambolo, un campione del mondo della infilata, trova spazi anche dove non esistono. Un fenomeno mediatico che alimenta il ciclo a vapore dei giornali progressisti. Bisognerebbe dargli un premio. Francamente non trovo alcun interesse per una discussione di questo tipo. Partecipazione, costruzione partecipata del programma, definizione delle priorità programmatiche. Fatto questo e spero portati a casa abolizione del job act, patrimoniale, abbassamento dell’età pensionabile, investimenti in scuola università sanità pubblica, conversione ecologica, reintroduzione del reddito di cittadinanza, azioni diplomatiche per fermare la guerra e il massacro del popolo palestinese, si può discutere con tutti. Il resto è gossip politico, poco altro.

– Il circo mediatico di tutto parla tranne che della tragedia di Gaza, dei morti nelle carceri, di una sanità pubblica allo sfascio…


Abbastanza impressionanti media e politica alle prese con la strategia suprematista e coloniale di Israele a Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est che alimenta violenza, massacri e la mattanza quotidiana di civili, donne e bambini. Oltre 40mila esseri umani, un’enormità. Un orrore a cui l’Occidente assiste colpevole e silente. Compresa la trasformazione di Israele in Stato confessionale egemonizzato da coloni armati e estremisti messianici; un governo, quello di Netanyahu, che ingaggia ed investe sull’allargamento del conflitto in diverse direzioni: dal Libano alla Siria fino agli omicidi mirati in giro per il medio oriente in barba al diritto internazionale. Un premier che cerca la guerra per rimanere al potere più tempo possibile. Inutile dire che su questi argomenti il dibattito e la critica sono più forti ed articolati sulla stampa israeliana che non su quella italiana. Il governo italiano e le istituzioni europee, purtroppo, continuano a non scegliere la via diplomatica là dove oggi servirebbero vere e proprie forze di interposizione. Dopo la decimazione dei giornalisti, meglio se arabo mussulmani, abbiamo assistito all’esecuzione di Aysenur Eygi, pacifista turco americana di 26 anni, presso Beita in West Bank durante una manifestazione non violenta. Che altro deve accadere?

– Due anni di governo di destra. Due anni di…?

Ho sempre preso sul serio la forza, l’egemonia culturale della destra su larghi strati della popolazione, soprattutto tra i penultimi, quelli che un tempo ce la facevano ad arrivare alla fine del mese e oggi non più. La destra mondiale populista e nazionalista allude sempre ad un conflitto tra “nazional capitalismo” e “capitalismo globalizzato”. Trump, Milei, Le pen, Orban e tanti altri. La sinistra in questo scontro non c’è o è arruolata de facto tra le compatibilità del capitalismo finanziario globalizzato.
La destra parla ai produttori locali, agli agricoltori che hanno messo a ferro e fuoco le capitali d’Europa, compresa Bruxelles. Davanti ai trattori degli “amici” l’idea di legalità si è fatta più lasca.
La sinistra moderata parla ai consumatori, al massimo ai prosumer, produttori consumatori. Un vero disastro.

– Cosa fare?

Noi dovremmo fare come in Francia in cui si capisce a pelle che la sinistra del Fronte popolare è altro dal nazional capitalismo di Le pen e distante dal capitalismo internazionalista di Macron, ed è in grado di affermare una agenda propria, autonoma, fondata sulla giustizia sociale, la redistribuzione delle risorse e la riappropriazione del tempo di vita rispetto a quello di lavoro. Insomma passi lunghi e distesi verso il ritorno al conflitto di classe.
Solo che poi le due forme di capitalismo che si contendono la scena politica convergono inesorabilmente sul terreno economico e sociale. Succede in Francia dove i liberali cercano Le pen pur di fermare Melanchon. Un errore storico che si ripete. Succede in Italia: privatizzazioni, flat tax, nessuna imposta sugli extra profitti, fine della presenza dello Stato nei settori strategici, salamelecchi alla grande finanza, austerità, riduzione della spesa sociale, probabile svendita delle quote statali di Acciaierie d’Italia al gruppo canadese Stelco e al gruppo del magnate ucraino Akhmetov, quello di Piombino per capirci. E da ultimo guerra costituente di un nuovo ordine e atlantismo senza se e senza ma. Il “Grazie, Occidente” di Rampini è la summa di questo neo colonialismo culturale che investe sullo scontro di civiltà e religioni. E d’altro canto è lontana anche la destra che aveva l’ambizione dell’Europa nazione.
Alla fine della fiera il capitalismo è come il banco, vince sempre, per opposizione o per accordo. L’agenda resta quella delle compatibilità tecnocratiche europee e quella dei fondi americani. Punto. E il governo Meloni sulle politiche economiche ha ceduto al liberismo globale su tutta la linea. Certo poi gli resta la propaganda, un po’ di razzismo, il contrasto al mondo lgbtq, la scuola di regime di Valditara, l’avversità all’autodeterminazione delle donne, la galera per i ragazzini che si fanno una canna, per chi occupa una scuola o una casa per puro stato di necessità, per chi fa picchetti. Si riempiono carceri, anche minorili, muoiono persone, si assiste a rivolte, l’ultima ieri a Casal del marmo, pensando solo alla risposta repressiva.
Un po’ poco per la rivoluzione nazionale promessa. Soprattutto deboli con i forti, forti con i deboli. La destra nella versione più originale.

-Bruxelles, Roma e dove piazzare Fitto…

La Von der layen ha fatto la sua proposta, Fitto vice presidente esecutivo con delega alla Coesione è un successo per Meloni, c’è poco da fare. Il patto c’era e ora si vede ad occhio nudo. Un modo bizantino di tirare dentro la maggioranza i conservatori. Cosa chiara sin dalle prime battute. Ora la palla passa alle Commissioni dove le delegazioni interrogheranno i Commissari designati su due aspetti: competenza e adesione ai valori europei. Di fronte a questa prevedibile sterzata a destra della Presidente Von der Layen cosa faranno i gruppi progressisti, cosa faranno gli europarlamentari socialisti, liberali e verdi in Commissione Regi? cosa farà il Pd? Voteranno Fitto? Se voteranno favorevolmente la frittata sarà compiuta, il commissario sovranista agirà con il consenso dell’opposizione. Un fatto a mio avviso grave che può minare la credibilità della costruzione dell’alternativa di governo.

Condividi questo articolo su