Non sono tempi facili per la Commissione europea alle prese con un nuovo aggressivo protagonismo degli Stati nazionali. Il Media Freedom Act, l’importante legge europea per la libertà di stampa, rischia di impantanarsi. La Commissione, nonostante una posizione formalmente ineccepibile, vede trasfigurato il suo lavoro a partire da un cavillo proposto dal Consiglio, cioè dai governi nazionali, per rimarcare l’autonomia degli Stati. Un cavillo capace di cambiare di segno ad una legge ambiziosa, visto che parliamo della possibilità di spiare i giornalisti.
Eppure si partiva da intenzioni lodevoli, appunto sostenere un sistema di garanzie europee a tutela della libertà e indipendenza dei giornalisti di fronte alle “crescenti minacce sia interne che esterne all’Ue” come ha sottolineato la ministra svedese della Cultura, Parisa Liljestrand.
Il regolamento richiede inoltre ai governi di rispettare la riservatezza delle fonti giornalistiche e vieta l’installazione di software spia sui dispositivi utilizzati dai giornalisti. Pratiche di spionaggio che hanno recentemente interessato diversi Paesi europei: Ungheria, Polonia e Grecia.
Ma è qui che si è prodotto il colpo di scena, rispetto alla proposta iniziale della Commissione: arrivare alla possibilità di spiare giornalisti e redazioni per motivi di sicurezza nazionale. Ancora una volta l’agenda di guerra trascina l’Europa in uno stato di eccezione che fa paura e che permette ai nazionalisti di alzare muri in nome della sovranità e della sicurezza. E la cosa più preoccupante è che questa eccezione sia stata proposta dalla Francia.
Reporter senza frontiere ha immediatamente condannato la disposizione: “la possibilità di monitorare i giornalisti in nome della sicurezza nazionale apre la porta ad ogni tipo di abuso”. Così come la Federazione europea dei giornalisti. Renate Schroeder, direttrice della Federazione, parla di effetto raggelante sugli informatori e altre fonti.
La legge nasce dalle riflessioni della Von der Layen durante il discorso sullo stato dell’Unione del 2021, con l’obiettivo di contrastare le distorsioni dei sistemi nazionali dei media pubblici e privati. La Presidente afferma che l’informazione è un bene comune, di cui va tutelata la indipendenza. Soprattutto va combattuta la distorsione del mercato interno a partire dall’allocazione e gestione della pubblicità statale.
Insomma si punta a definire un quadro europeo omogeneo a tutela dei giornalisti, per la trasparenza nella gestione delle risorse e la necessità del servizio pubblico di garantire la indipendenza editoriale dal potere politico.
Questo atto è osteggiato da Ungheria e Polonia che in Consiglio hanno comunque votato contro, nonostante la clamorosa apertura.
Ora la partita si sposta in Parlamento europeo, dove è previsto il voto in Commissione Cultura a inizio settembre.
Per il Parlamento l’idea del Media Freedom Act nasce per tutelare la libertà di stampa ovunque e in particolare nei Paesi che la violano sistematicamente, agiscono la censura e il monopolio delle risorse pubbliche da gestire a piacimento. Al momento liberali, verdi, socialisti e sinistra, sembrano prepararsi ad una battaglia campale contro una norma che inquina e cambia di segno all’intero atto.
In particolare per i socialisti e democratici le ragioni della sicurezza nazionale non possono essere invocate per limitare la protezione contro la sorveglianza indebita dei media. Il gruppo S&d è fortemente contrario a un’eccezione generale alle norme contro la sorveglianza per motivi di sicurezza nazionale.
Durante la discussione iniziale in Commissione cultura si è assistito ad un tentativo dei Popolari di imporre uno spazio di maggiore autonomia per gli Stati nazionali rispetto al ruolo delle istituzioni comunitarie. Vedremo se, anche su questo tema, si rafforzerà l’asse Popolari e Conservatori della Meloni in nome dell’Europa prossima ventura a cui lavorano alacremente, quella delle nazioni e dei nazionalisti. Il punto resta la costruzione di uno scudo europeo capace di mettere al primo posto la tutela della indipendenza della stampa con norme valide per tutti, in tutto il continente. Uno scudo utile ai giornalisti per fare il loro lavoro, indispensabile per la qualità della nostra democrazia.